Cultura

Pacem in Terris, quelle parole da non dimenticare

di Maria Teresa Birolini
- 13 maggio 2025
Pacem in Terris: l’appello di Papa Giovanni XXIII per la pace ieri e oggi
Papa Giovanni con il suo segretario particolare, Monsignor Loris Capovilla

L’EPOCALE DOCUMENTO DI PAPA GIOVANNI A tre mesi dalla morte il pontefice bergamasco scrisse la sua grande lettera all’umanità, un testamento spirituale

L’enciclica appare più che mai di drammatica attualità. L’appello ai governanti. La frase di Pio XII: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra”

Sono passati molti anni da quel Giovedì Santo, 11 aprile 1963, quando Papa Giovanni XXIII donò al mondo la sua ultima enciclica, Pacem in Terris. Eppure, il tema della pace rimane oggi più attuale che mai. Allora il mondo faceva i conti con il terrore nucleare, con la costruzione del muro di Berlino, simbolo della divisione in blocchi contrapposti, e aveva affrontato la crisi dei missili di Cuba che era stata a un passo dal portare l’umanità in un conflitto atomico mondiale. In quel clima, dopo essere stato decisivo nello scongiurare la crisi cubana, Papa Giovanni aveva sentito la necessità di scrivere un’enciclica sul tema della pace fra i popoli, a soli tre mesi dalla sua morte, come fosse un testamento spirituale. Il 25 ottobre 1962, nel pieno della crisi cubana, il pontefice già si era rivolto ai governanti del mondo, e in particolare di Stati Uniti e Unione Sovietica, dicendo alla Radio Vaticana: “Con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della Terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: pace! Pace! Noi rinnoviamo oggi questa solenne implorazione”.

Dopo sessantadue anni il mondo è di nuovo in preda alla paura: sono 56 i conflitti armati e coinvolto 92 paesi; il numero più alto dalla seconda guerra mondiale. E anche l’Occidente che ne sembrava immune, si confronta oggi con scelte che possono trascinarlo nella più grande vergogna per l’umanità: la guerra. Lo sappiamo bene: l’Ucraina brucia nel cuore d’Europa e a Gaza, dall’attacco di Hamas a Israele nell’ottobre del 2023, si contano oltre 70000 vittime palestinesi. La nostra Europa si trova al centro di una guerra commerciale e osserva con preoccupazione i nuovi equilibri globali: Stati Uniti, Cina, e con la Russia alleata strategica di Pechino.

Papa Giovanni era ben consapevole che l’appello per il disarmo, la chiamata in causa dei governanti, tuttavia non avrebbe ottenuto risultati duraturi se non fosse avvenuto un cambiamento profondo nell’umanità. Scrisse il Papa: “Se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità”. E quindi Papa Giovanni citava il predecessore, Pio XII: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra”.

Oggi la parola guerra è purtroppo tornata sulla bocca della nostra generazione, convinta fino a ieri di averla eliminata dal proprio vocabolario. Per queste ragioni anche noi del Giopì abbiamo pensato di dare, nel nostro piccolo, un contributo di pensiero e lo facciamo con una scelta delle parole di Papa Giovanni nella Pacem in Terris, cominciando proprio dalla sua parte conclusiva, con Il Principe della pace e la benedizione apostolica impartita a tutti i fedeli.

Il Principe della pace.

89. Queste nostre parole, che abbiamo voluto dedicare ai problemi che più assillano l’umana famiglia, nel momento presente, e dalla cui equa soluzione dipende l’ordinato progresso della società, sono dettate da una profonda aspirazione, che sappiamo comune a tutti gli uomini di buona volontà: il consolidamento della pace nel mondo. Come vicario — benché tanto umile ed indegno — di colui che il profetico annuncio chiama il Principe della pace, (Cf. Is 9,6) abbiamo il dovere di spendere tutte le nostre energie per il rafforzamento di questo bene. Ma la pace rimane solo suono di parole, se non è fondata su quell’ordine che il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza: ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà.

90. È questa un’impresa tanto nobile ed alta che le forze umane, anche se animate da ogni lodevole buona volontà, non possono da sole portare ad effetto. Affinché l’umana società sia uno specchio il più fedele possibile del regno di Dio, è necessario l’aiuto dall’alto. Per questo la nostra invocazione in questi giorni sacri sale più fervorosa a colui che ha vinto nella sua dolorosa passione e morte il peccato, elemento disgregatore e apportatore di lutti e squilibri ed ha riconciliato l’umanità col Padre celeste nel suo sangue: “Poiché egli è la nostra pace, egli che delle due ne ha fatta una sola... E venne ad evangelizzare la pace a voi, che eravate lontani, e la pace ai vicini” (Ef 3,14-17).

91. Allontani egli dal cuore degli uomini ciò che la può mettere in pericolo; e li trasformi in testimoni di verità, di giustizia, di amore fraterno. Illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace.

In pegno di questa pace e con l’augurio che essa irraggi nelle cristiane comunità a voi affidate, specialmente a beneficio dei più umili e più bisognosi di aiuto e di difesa, siamo lieti di dare a voi, venerabili fratelli, ed ai sacerdoti del clero secolare e regolare, ai religiosi e alle religiose e ai fedeli delle vostre diocesi, particolarmente a coloro che porranno ogni impegno per mettere in pratica le nostre esortazioni, la benedizione apostolica, propiziatrice dei celesti favori. Infine, per tutti gli uomini di buona volontà, destinatari anch’essi di questa nostra lettera enciclica, imploriamo dal sommo Iddio salute e prosperità.

Disarmo

59. Ci è pure doloroso costatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuano a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre comunità politiche vengono, di conseguenza, priva- Maria Teresa Birolini te di collaborazioni indispensabili al loro sviluppo economico e al loro progresso sociale. Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Quindi se una comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo ed armarsi esse pure. E se una comunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armi atomiche di potenza distruttiva pari.

60. In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico. Inoltre va pure tenuto presente che se anche una guerra a fondo, grazie all’efficacia deterrente delle stesse armi, non avrà luogo, è giustificato il timore che il fatto della sola continuazione degli esperimenti nucleari a scopi bellici possa avere conseguenze fatali per la vita sulla terra. Per cui giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci. “Non si deve permettere — proclama Pio XII — che la sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbamenti morali si rovesci per la terza volta sull’umanità” [48].

61. Occorre però riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità.

62. È un obiettivo reclamato dalla ragione. È evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante. È un obiettivo desideratissimo. Ed invero chi è che non desidera ardentissimamente che il pericolo della guerra sia eliminato e la pace sia salvaguardata e consolidata? È un obiettivo della più alta utilità. Dalla pace tutti traggono vantaggi: individui, famiglie, popoli, l’intera famiglia umana. Risuonano ancora oggi severamente ammonitrici le parole di Pio XII: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra” [49].

63. Perciò come vicario di Gesù Cristo, Salvatore del mondo e artefice della pace, e come interprete dell’anelito più profondo dell’intera famiglia umana, seguendo l’impulso del nostro animo, preso dall’ansia di bene per tutti, ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole ed umano.

Nelle assemblee più alte e qualificate considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde. Da parte nostra non cesseremo di implorare le benedizioni di Dio sulle loro fatiche, affinché apportino risultati positivi.

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