Quei tifosi che arrivano da mezzo mondo
di Vincenzo Cito- 20 marzo 2025

Ti accorgi che quello accanto a te ha un accento strano, ha sulla fronte una fascia dell’Atalanta però la pronuncia arriva da lontano. Immediata la conferma. “Sono svizzero, abito nel Canton Ticino – risponde – anche voi però non sembrate di qui”. In effetti chi gli ha rivolto la domanda è di Brescia, eppure tifa per il Napoli. E sotto, quei due signori con l’accento campano? Sicuramente sono sostenitori di Conte e Lukaku. Macchè, uno è juventino e l’altro è venuto per pura curiosità, attratto dall’importanza del big match. Sono episodi come questo a far capire come questa partita – che negli anni settanta era un mesto confronto da metà classifica – sia diventata una classica del nostro campionato, tanto da aver conquistato sostenitori in altre città.
Per decenni i seguaci di queste due squadre sono stati condannati a fornire dettagliati motivi della loro scelta calcistica. “Ho capito, sei bergamasco e tieni all’Atalanta. Ma poi per quale altra squadra tifi?” è la frase che ha accompagnato generazioni di tifosi nerazzurri, perché secondo un comune modo di pensare il mondo è fatto di juventini, interisti e milanisti, le altre sono passioncelle di contorno. E se un sostenitore del Napoli non ha l’accento partenopeo è tenuto ad articolate spiegazioni (“I miei sono meridionali” “Mi è sempre piaciuto Maradona”): oggi per fortuna non è più così, tifare Atalanta o Napoli è ufficialmente consentito perché sul campo si sono conquistate lo status di grandi squadre. Lo dimostrano da anni, in sfide spettacolari, le ultime dieci delle quali hanno sempre prodotto gol. L’ultimo 0-0 risale a una semifinale di coppa Italia giocata al Maradona nel febbraio 2021 quando in verità furono le parate di Ospina a impedire di vincere all’Atalanta che si rifece al ritorno (3-1) conquistando la finale poi persa con la Juventus festeggiata dall’allenatore Andrea Pirlo come una Champions League, tanto per far capire quanto temesse l’avversaria.
Anche se non lo vogliono, in realtà Atalanta e Napoli si somigliano moltissimo. Innanzitutto per l’identificazione totale delle loro città nella squadra, non a caso altri sport faticano ad emergere, perché attenzione, tifosi e sponsor sono attratti fatalmente dal pallone. I due club – evento ormai rarissimo – producono calcio e anche profitti, non hanno debiti, si autofinanziano con gli utili di mercato e i ricavi del botteghino. E in un mondo del calcio omologato, si sono entrambe sempre sentite “contro”. Napoli per anni ha sofferto il complesso di inferiorità verso i grandi club, ma quando ha sconfitto un endemico vittimismo (era sempre colpa degli arbitri, dei complotti e del sistema) puntando su progetti seri è tornata a vincere lo scudetto e solo l’anno scorso ha interrotto una serie di ben quattordici presenze consecutive nelle manifestazioni europee.
L’Atalanta è il simbolo della provincia viva, orgogliosa che ha ribaltato tutti gli schemi, come quello di limitare alla salvezza l’obiettivo della stagione ed è diventata la squadra di tutti gli italiani con la conquista dell’Europa League che non era riuscita negli ultimi anni a Inter e Roma, battute in finale. Ecco perché una sconfitta come quella di sabato – al termine di una sfida sostanzialmente equilibrata – va considerata solo un incidente di percorso. Atalanta e Napoli – anche se mai si ameranno – sono destinate ad affrontarsi tanti anni ancora in partite di tale importanza, rappresentano le vere nuove realtà del calcio italiano e cattureranno sempre nuovi tifosi, molti dei quali sabato scorso provenivano dalla vicina Milano, la città che da anni progetta un nuovo stadio senza realizzarlo mai. Un gioiellino come il Gewiss Stadium, dove si gode lo spettacolo come stando a teatro, è un irresistibile richiamo per tutti, al di là delle bandiere. Venite a vedere l’Atalanta, nel bene o nel male vi divertirete sempre.
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